Ogni persona è come un orologio svizzero, ossia ogni orologio svizzero è differente ed è diverso dall’altro. Le persone che vivono portandosi appresso dei disagi sono dei geni della sopravvivenza. Un disturbo o un disagio è una strategia geniale escogitata dal cervello, e diventa un disturbo solo nel modo in cui si ripercuote sull’interiorità della persona e sul suo funzionamento, ma in realtà è un modo eccezionale trovato dal cervello per permettere alla persona di sopravvivere alla sofferenza che ha vissuto e di mantenere una qualche forma di omeostasi.
Queste parole descrivono bene il funzionamento del nostro cervello che sta alla base del brainspotting, la tecnica ideata da David Grand agli inizi degli anni duemila.
Ma che cos’è il brainspotting?
Il brainspotting è una tecnica per il benessere che nasce dall’intuizione dello psicoterapista americano David Grand. La storia che porta alla creazione di questo metodo innovativo ci può aiutare a capire meglio cosa si intende per brainspotting.
Agli inizi degli anni duemila David Grand aveva in cura una pattinatrice “bloccata” che, per quanto si allenasse e riprovasse, i suoi tentativi di fare un triplo loop si rivelavano sempre degli insuccessi, provocandole grandi disagi e difficoltà nella sua vita non solo professionale.
David Grand durante uno dei suoi incontri con la paziente, si accorse di un tremolio nel suo sguardo che non aveva mai notato prima. Quando il terapista faceva scorrere il dito indice attraverso il campo visivo della pattinatrice, in particolari punti dello spazio in cui rivolgeva il proprio sguardo, la pattinatrice manifestava un rapido tremolio degli occhi.
È questo il momento in cui David Grand ha l’intuizione che lo porterà a sviluppare il brainspotting: capisce che quel tremolio rappresenta un punto di “rottura”, una finestra, un varco, che lo può portare direttamente alla fonte di ciò che impedisce alla sua paziente di effettuare il suo triplo loop.
Si sofferma quindi su questo tremolio con il sospetto che lì dietro ci fosse del materiale inconscio, un trauma o un disagio incapsulato nella parte più remota e primitiva del nostro cervello che il cervello “pensante” aveva dimenticato e rimosso ma che impediva alla pattinatrice di sviluppare a pieno il suo potenziale.
Dopo questa prima intuizione David Grand affina il suo metodo, si confronta con altri colleghi e sperimenta questa tecnica di elaborazione con altri pazienti. Arriva a capire e a ideare un processo di guarigione che parte dalla focalizzazione dello sguardo su un punto e, in combinazione con la reazione fisica ed emotiva che si manifesta in quel punto si inizia il percorso che porta al superamento del disagio o all’ottimizzazione delle nostre capacità o dei nostri sentimenti.
Il termine inglese brainspotting è composto da due parole: brain, ovvero cervello, e spot, ovvero punto. Il metodo si basa quindi sul presupposto che il punto in cui guardiamo è in relazione diretta con ciò che accade nel nostro cervello. Sono sempre di più gli studi che dimostrano che lo sguardo è direttamente collegato con la parte più profonda e più primitiva del nostro cervello. È in questa zona che vengono incapsulati e dimenticati gli eventi che ci hanno ferito e turbato in passato.
Il nostro cervello, per superare questi eventi dolorosi, o forieri di turbamento psichico, ha creato ed elaborato delle strategie per sopravvivere ed andare avanti. Il brainspotting, tramite il punto di accesso determinato dallo sguardo, arriva a toccare questi eventi che sono stati nascosti e dimenticati dal cervello, li fa emergere, ci permette di aprirli, leggerli ed elaborarli.
Questo metodo ci restituisce quindi il nostro benessere, lasciando però che sia il cervello stesso a risolvere i nostri problemi. Come sostiene David Grand, il brainspotting mette in condizione la persona di lasciare che sia il cervello più profondo, quello che è responsabile della nostra sopravvivenza, a risolvere il problema. È quella la parte del cervello che sa benissimo cosa fare senza che nessuno glielo dica, “al punto che è capace di farci crescere le unghie, i capelli e persino di trasformare il caffè che beviamo in urina”: proprio perché la cosa che il nostro cervello sa fare splendidamente è trasformare e trasformarci, senza che nessun impulso del nostro animo glielo suggerisca.
Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.