Il Brainspotting – che a me piace chiamare “punti di sguardo” – si avvale di diverse tecniche applicate al campo visivo della persona, al fine di individuare i cosiddetti “Brainspots”, ossia dei punti di accesso direttamente collegati alla parte del cervello in cui sono rimasti incapsulati disagi, esperienze negative e cose irrisolte del nostro vissuto che ci limitano e non ci permettono di sviluppare noi stessi o di vivere appieno la nostra vita e le nostre potenzialità.
Il Brainspotting è stato sviluppato agli inizi degli anni 2000 da David Grand. Questo psicoterapeuta americano aveva infatti notato che, quando i suoi clienti erano turbati o “attivati” rispetto a un certo problema o evento, dirigere il loro sguardo in posizioni oculari stazionarie provocava alcune reazioni corporee molto evidenti (battito di ciglia, tremolio degli occhi, deglutizione, sussulti corporei, sbadigli, ecc.).
Giunse così alla conclusione che tali reazioni riflessive, per lo più inconsce, collegate a determinate direzioni dello sguardo, potevano indicare la posizione di materiale problematico nel cervello. Tenendo gli occhi fermi su questi punti e osservando ciò che accadeva nel proprio corpo (attenzione applicata), i suoi clienti notavano un considerevole miglioramento di determinati disagi.
Il metodo si basa quindi sul presupposto che il punto in cui guardiamo è in relazione diretta con ciò che accade nel nostro cervello. Pertanto, il Brainspotting costituisce un potente approccio per favorire cambiamenti nella nostra mente, semplicemente concentrandosi su dove stiamo guardando.
Le tecniche applicate dal Brainspotting Practitioner consentono di localizzare e, quindi, fare affiorare le problematiche più profonde tramite una vasta gamma di sensazioni emotive e corporee, al fine di elaborarle, sfruttando le immense capacità innate della nostra stessa mente, nonché la naturale abilità di “autoscansione” del cervello. Grazie alle reazioni, ossia, ai riflessi del corpo, i “Brainspot” creano una connessione diretta con i “file” contenenti esperienze irrisolte della nostra vita.
Di conseguenza, è possibile non solo bilanciare, ma anche migliorare il modo in cui il cervello funziona, al fine di favorire maggior benessere, rilassamento e chiarezza mentale, migliorando al contempo le prestazioni quotidiane e la serenità.
Ma il Brainspotting non viene utilizzato solo per i disagi, al contrario! Può essere applicato per migliorare la creatività, i talenti e persino la spiritualità. Infatti, ne fanno ricorso atleti e attori per ottimizzare la propria performance. Ad esempio, si può cercare il “brainspot” collegato al personaggio che un attore deve interpretare affinché possa entrare meglio nella parte.
Elemento fondamentale del Brainspotting è la profonda sintonia relazionale (attunement) che si instaura tra il “Practitioner” e la persona stessa, al fine di creare il “frame”, ossia la cornice adeguata che facilita l’elaborazione in un modo del tutto nuovo.
Il ruolo del Brainspotting Practitioner consiste nell’essere una presenza empatica, accogliente e rassicurante che favorisce l’elaborazione del disagio ma che, dal canto suo, limita al minimo qualunque intervento diretto, discorsivo o esplicativo che sia, altrimenti, turberebbe la capacità del cervello più profondo di sistemare le cose come davvero sa fare.
In realtà, il Practitioner si limita a seguire ciò che accade nell’intimo della persona che gli siede di fronte, proprio come la coda di una cometa ne segue la testa. La filosofia del Brainspotting parte dal presupposto che “l’esperto” è la persona stessa che elabora il proprio vissuto. Pertanto, il Brainspotting Practitioner non la deve per forza guidare, in quanto il processo va esattamente come deve andare.
In questo modo, la tecnica dei “punti di sguardo” mette la persona nelle condizioni di farsi direttamente carico della risoluzione del proprio problema, facendo ricorso a risorse interiori più che esteriori. E quando la session è impostata nel modo corretto, il Practitioner non ha bisogno di intervenire, con totale fiducia nelle “capacità risolutive” del cervello di ognuno di noi.
A differenza di altre tecniche, le sessioni di Brainspotting possono svolgersi efficacemente anche online (ad esempio su Zoom o Teams), come è ormai prassi consueta negli Stati Uniti e nei paesi anglofoni.
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